Parrocchia
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Da decenni chiusa al culto, oggi in precarie condizioni strutturali, ferita da mortificante degrado, la Chiesa di S. Giacomo presenta ampio ed arioso impianto planimetrico a tre navate, separate da archi con eleganti colonne in pietra, varie cappelle decorate in stucco ed un portale in pietra che, pur gravemente mutilo, lascia immaginare lo splendore dei tempi passati.
La chiesa presentava pure un arredo sacro di primo ordine ed esempi di arte decorativa e figurativa che la collocavano in posizione di eccellenza, non solo in ambito strettamente locale.
Tutto ciò fin quando un’attivissima e vigile confraternita ne reggeva le sorti.
Anche della chiesa di S. Giacomo non si conoscono le origini.
Il primo documento che siamo riusciti a reperire su di essa è un contratto del 1573 relativo alla fattura di alcuni affreschi, ma essa certamente ha una origine più antica.
Il culto di S. Giacomo, patrono delle milizie aragonesi, potrebbe essere stato introdotto a Sclafani con l’inizio del 1400, quando il centro passa sotto la signoria di famiglie originarie dalla Spagna, come già ricordato.
Mentre sono alquanto numerosi i riferimenti documentari rintracciati sul suo arredo sacro, pochi sono quelli concernenti episodi costruttivi.
Tra questi segnaliamo l’intervento del polizzano Epifanio Sammarco che, dopo aver lavorato nel campanile di S. Filippo, il primo marzo 1598 si obbliga a fare i trentaquattro scalini di quello di S. Giacomo con pietra intagliata per la somma di otto onze.
Circa un decennio dopo, il 31 agosto 1611, il “fabricator” Vincenzo Lima di Castelbuono si obbliga con tre dei rettori della confraternita (Antonino Galgana, Giacomo Ortolano e Benedetto Granata) a fabbricare un “dammusum seu cubulam” (la volta) di tredici palmi (m 3) di vacante e altezza secondo la proporzione.
I rettori forniranno tutto “l’attratto”, cioè pietra, mattoni, sabbia e calce anche per la realizzazione di quattro piccole piramidi da farsi sul campanile, secondo un disegno sottoscritto da don Sebastiano La Chiana, per dieci onze oltre al vitto. I pagamenti, segnati a margine dell’atto, certificano l’avvenuta esecuzione dell’opera.
Vincenzo Lima è esponente qualificato di quella maestranza di costruttori castelbuonesi, che affondava le origini e la provenienza dall’Italia Settentrionale e che aveva portato nelle Madonie vari contributi innovativi nella costruzione di chiese e di palazzi monumentali.
A Sclafani nel 1610 Vincenzo Lima aveva pure costruito una cappella nella Chiesa di S. Rocco.
Un intervento che qualifica la navata di S. Giacomo viene avviato nel 1628 quando con atto del 6 agosto il maestro Bartolomeo Rizzo di Cammarata si obbliga con Paolino Oddo e Giacomo Granata, rettori della confraternita che regge la chiesa, ad intagliare quattro archi con pietra proveniente dalla “pirrera” di S. Pietro oppure da una vigna, proprietà della chiesa, posta in contrada Mandarano.
Il maestro è tenuto ad intagliare ogni arco con non più di due pezzi e, “non potendo venire”, dovrà uniformarsi all’ultima colonna lavorata della chiesa di S. Giovanni Battista di Mussomeli.
Il fusto delle colonne deve misurare quattordici palmi (m 3,50), oltre a capitelli, zoccoli e cimase. Il costo, notevole, di ottanta onze è da versare secondo gli stati di avanzamento (“servendo succurrendo”), dovendo restare trenta onze fino alla consegna finale. I rettori inoltre si impegnano a fare trasportare a loro spese la pietra fino alla chiesa e a fornire gratis al maestro “casa e posata”.
Lo stesso giorno il maestro di Cammarata si impegna con Marco de Leone a realizzare con pietra di S. Pietro un arco per la cappella maggiore della chiesa per la somma di venti onze.
Le colonne ed i capitelli sono tra le poche cose che si sono salvate dalla rovina che ha investito la Chiesa di S. Giacomo nel corso dei decenni.
Fonte: “Sclafani Bagni - Profilo storico ed attività artistica" di Rosario Termotto
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