Profilo storico, monumenti e attività artistica

Sclafani Bagni

Profilo storico e attività artistica di Rosario Termotto

 

Monumenti

Lo Stemma (XIV secolo)
Lo stemma attuale è quello antico già adottato dalla famiglia Sclafani: “scudo ovale partito di nero e d’argento, con due grue affrontate dell’uno e dell’altro”.
Nella foto lo stemma sulla Porta Soprana

 

I ruderi del Castelluccio
Il Castelluccio, collocato sulla cinta muraria in posizione opposta al Castello Grande, era adibito al corpo di guardia e all’alloggio dei soldati; rimangono sono pochi resti.

 

I ruderi del Castello Grande
Del Castello Grande rimangono solo i resti di una parete in cui si aprono una monofora ed alcune feritoie, facente parte di una torre a pianta probabilmente rettangolare che si erge al centro di alcune strutture murarie. La monofora, al centro della parete, dava luce al secondo ed ultimo piano della fabbrica.

 

La Chiesa Madre
In una prima fase la chiesa, situata a ridosso dell’area del castello, fu probabilmente fondata come chiesa palatina al servizio dei signori di Sclafani, con dimensioni notevolmente più ridotte di quelle odierne. È possibile che gli interventi trecenteschi d’espansione e qualificazione urbana, tradizionalmente riconosciuti all’opera di Matteo Sclafani, abbiano anche riguardato la chiesa (a questo periodo si data il portale ogivale tuttora esistente).

Oggi la chiesa presenta un impianto a tre navate, separate da arcate, ampio e profondo presbiterio ed una seconda porta d’ingresso mentre gli altari laterali, noti dalla documentazione, sono stati soppressi o ampiamente modificati. La torre campanaria, massiccia, serra il prospetto principale come una torre fortificata.
Vi si conserva un sarcofago romano con scene dionisiache, reimpiegato per la sepoltura dei conti di Sclafani e proveniente dal castello.

Agli inizi del Seicento la chiesa subì importanti modifiche, connesse ad un generale rinnovamento delle chiese madri di vari centri della diocesi di Cefalù: un documento 4 dicembre 1611 ci informa della commissione del rinnovamento della navata ad opera di Giovanni Antonio De Maria, di Polizzi.

I documenti di archivio ci forniscono sulla chiesa numerose altre informazioni: nel 1574 era già stato realizzato un nuovo fonte battesimale, opera di Francesco Seminara di Troina (autore anche del portale di palazzo La Farina (oggi Gagliardo) di Polizzi, in stile plateresco) e nel 1608 venne installato un orologio sulla torre campanaria. Diverse campane furono realizzate dai maestri fonditori della regione (in particolare dei paesi di Tortorici e di Castelbuono) tra il 1628 e il 1667. Un piccolo organo per la chiesa fu acquistato nel 1604 e uno nuovo fu costruito nel 1615 ad opera di Antonino La Valle, più tardi dorato e decorato con dipinti sugli sportelli, oggi perduti.

La cappella principale della chiesa viene decorata per volere di don Sebastiano La Chiana: nel 1623 viene eseguito un altare di legno intagliato e dorato e nel 1630 viene affidato un ciclo decorativo di tele e affreschi al pittore Matteo Sammarco (autore anche della tela con “La messa di San Gregorio” nella chiesa di Santa Maria Maggiore d’Isnello e attivo nelle Madonie fino al 1654), di cui attualmente resta solo la tela con l'”Ultima Cena”. Erano tuttavia state realizzate tra il 1630 e il 1633 anche altre due tele (“La presa di Jesu Cristo nostro Signore dalli Giudei con tutti li personaggi” e la “Resurrezione di Nostro Signore”) e diversi affreschi (quattro pannelli con gli “Evangelisti” oppure i “Dottori della Chiesa”, e ancora i “Misteri della Passione” ed infine “La Maddalena”, “La Veronica col sudario” ed “Adamo ed Eva”, da dipingersi nell’arco).
Nella chiesa esistono inoltre diversi altri dipinti.

Quattro pannelli dalla chiesa di San Giacomo, con “San Giacomo”, “San Giovanni”, “San Gregorio” e “Santo Stefano”, di ignoto autore del XVI secolo. I santi sono ripresi in atteggiamento statuario da un punto di vista molto ravvicinato: in posizione frontale Santo Stefano, appena mosso, e San Gregorio e di tre quarti gli altri due. Si tratta probabilmente dei pannelli superstiti di un perduto polittico o delle ante di un organo. La morbidezza del panneggio delle tuniche dei santi e la preziosità decorativa dei loro abiti mostrano la mano di un pittore d’un certo rilievo.
Tela, attualmente nel presbiterio e proveniente dalla chiesa di San Giacomo, raffigurante “Santa Maria degli Agonizzanti” o “La morte del giusto”, attribuita a Giuseppe Salerno (morto prima del 1634), ma secondo documenti di archivio eseguita invece nel 1648. La tela raffigura il giusto morente assistito nel trapasso dall’angelo custode, da San Giacomo e dalla Madonna degli Agonizzanti la quale schiaccia sotto i suoi piedi il demonio in forma di bestia orrenda. Nella parte superiore del quadro abbiamo la colomba, simbolo dello Spirito Santo, il Padre Eterno ed un coro angelico. Da notare ancora, sul tavolo, la tunica bianca con l’emblema rosso che potrebbe indicare l’appartenenza dell’agonizzante alla confraternita di San Giacomo, al quale il Bambino offre la catena del soccorso.
Tela con “L’Annunciazione”, attribuita forse al pittore Andrea Carrera di Trapani, attivo anche a Palermo fino agli anni 1660, proviene forse dalla distrutta chiesa dell’Annunziata.
La “Presentazione al Tempio”, di autore sconosciuto del tardo Seicento o primo Settecento, collocata nella cappella del Sacro Cuore.
“La Madonna delle Grazie”, del 1623 e di autore ignoto, di cui resta solo il dipinto privo dell’originaria cornice dorata.
Nella chiesa si conserva infine una statua lignea di San Rocco del 1604 di Cosimo La Russa, un intagliatore poco noto attivo anche in altri centri vicini e autore anche di una cancellata lignea nella chiesa di San Filippo. La statua proviene dalla distrutta chiesa di San Rocco.

Fonte: Wikipedia

 

La Chiesa di San Filippo

Nella sua conformazione attuale, la chiesa presenta un impianto a tre navate con tre absidi, alto campanile laterale e prospetto seicentesco che dà su un’ariosa piazzetta.

La chiesa, di ignota origine, è menzionata per la prima volta in un documento del 1573, relativo alla riparazione del portale. Altri lavori in pietra sono documentati nel 1596. Negli stessi anni viene ricostruito il campanile e la campana viene ordinata da un maestro fonditore di Tortorici. Sono documentati inoltre restauri agli archi della chiesa nel 1620 e nel 1628 il rifacimento della volta. Nel 1648 viene rifatto dal “maiolicaro” Vincenzo Cellino di Collesano il pavimento, un brano del quale si conserva tuttora in un angolo dell’edificio. Il pavimento si presenta in mattonelle maiolicate bipartite in bianco e verde, con una decorazione a campanule (definita nelle descrizioni “ad occhio di bue”). Nel 1664 fu realizzato il nuovo portale dal lapicida Antonino Barchi, con bottega in Caltavuturo.

Intorno alla metà del Settecento la chiesa aveva acquisito una certa importanza e divenne parrocchia.

Per una statua lignea di San Filippo, anteriore al 1578, siamo informati di numerosi restauri e dorature avvenute a più riprese. La statua era in origine dotata di uno sgabello e di una “vara” per le processioni (con pitture di Antonio Fazzuni, di Palermo). Nel 1584 viene realizzato un Crocifisso intagliato da Domenico Coniglio. Nel 1609 Cosimo La Russa, l’autore della statua di San Rocco attualmente nella chiesa matrice, realizzò una cancellata lignea con statue a chiusura di una cappella, non più conservata. Nel 1625 fu realizzata una statua di Sant’Orsola, probabilmente per questa chiesa, oggi scomparsa. Infine va citata la statua dell’Immacolata di Pietro Mignosi

La chiesa inoltre conserva la piccola “vara” del Crocefisso, uno dei pochi esempi superstiti di questo apparato per le processioni, in genere destinato, a causa dell’uso, a venire spesso rinnovato. Nel corso del Cinquecento e del Seicento le “vare”, che ospitavano statue o gruppi scultorei, avevano infatti sostituito i gonfaloni lignei che servivano da insegna alle numerose confraternite. Questo esemplare di piccole dimensioni (“varetta”) fu eseguito nel 1630 dall’intagliatore Giuseppe Farullo di Polizzi (e già restaurata nel 1650 da Vincenzo Lo Presti), per ospitare un gruppo con Il Crocifisso, la Madonna e San Giovanni Evangelista, probabilmente preesistente.

Fonte: Wikipedia

La Chiesa di San Giacomo

Chiusa al culto e in precarie condizioni, la chiesa, di ignote origini, è ricordata la prima volta in un documento del 1573, relativo alla realizzazione di affreschi. Il culto del santo titolare, patrono delle milizie aragonesi, era stato probabilmente introdotto nel Quattrocento. Una riqualificazione dell’interno, con il rifacimento degli archi delle navate, con colonne e capitelli risale all 1628. Al 1598 e al 1611 risalgono alcuni lavori nel campanile.

L’edificio è a tre navate, separate da archi sostenuti da colonne in pietra, con cappelle laterali decorate e in facciata un portale, attualmente danneggiato.

Il portale fu forse iniziato nel 1663 dal lapicida Antonio Barchi, che doveva prendere a modello quello “dell’oratorio delle Anime del Purgatorio in S. Pietro a Caltavuturo”, e realizzato tra il 1666 e il 1667 dai lapicidi della famiglia Palumbo, compresa una statua di San Giacomo, attualmente rimontata sulla facciata della chiesa di San Pietro.
L’interno conserva una decorazione a stucco, attualmente degradata e danneggiata, dovuta probabilmente a più interventi durante il Seicento e il Settecento.

Tra questi interventi è documentata na “Assunzione della Beata Vergine”, che si deve nel 1613 al maestro Jacopo Frignoni. Nello stesso anno, il figlio, il pittore Francesco Frignoni, decora la cappella di San Giacomo con un ciclo di affreschi, comprendenti quattro storie del santo (il pannello meglio conservato raffigura l’episodio di “Gesù che cammina sulle acque”) e altre figure, tra cui forse è tuttora leggibile un San Giacomo “matamoros” (il santo che secondo la leggenda scende dal cielo ad aiutare i cristiani nella battaglia di Clavijo contro gli infedeli). La raffigurazione di questo episodio, che allude alla lotta della chiesa della Controriforma contro l’eresia protestante, si inquadra nell’attribuzione alle immagini di una marcata funzione didascalica, propria di questo periodo. Al padre e al figlio insieme viene quindi affidato, ancora nello stesso anno, il completamento di una statua di Santa Lucia, oggi probabilmente nella chiesa di San Francesco.

La decorazione a ghirlande in stucco degli archi della navata si deve invece ad un intervento del 1657 di Pietro De Giorgio.

Ad Antonio Fazzuni si deve una statua di San Giacomo del 1577.

Oltre alle opere ora conservate nella chiesa matrice, l’attivismo e le disponibilità economiche della confraternita, ma anche la devozione di singoli e di gruppi di fedeli, fa registrare la committenza di pitture (affreschi e tele di Filippo Romana), campane (fonditori di Tortorici) ed intagli lignei (intagliatori Giuseppe Farullo e Vincenzo Lo Presti), noti solamente dai documenti.

 

Il Sarcofago greco in pietra (IV secolo a. C.)

Le figure scolpite rappresentano un baccanale: baccanti armati di tirso, fauni ebbri, ballano attorno alle are dove risplende il fuoco dei sacrifizii.

Il sarcofago è stato trasportato a Sclafani Bagni dopo la distruzione di Imera, forse acquistato dai conti di Sclafani, era dapprima collocato nel castello e serviva a conservare le ossa dei signori di Sclafani.

QUI RIMANGONO LE OSSA DEGLI ANTICHI SIGNORI DI SCLAFANI, INVINCIBILI DIFENSORI DI IMERA, CHE CON IL SEPOLCRO FURONO QUI TRASPORTATI DALLA FORTEZZA

ANTIQUIORUM SCLAPHANI INVICTISSIMIHYMERAE PROPUGNACULI, COMITU HIC OSSA MANENT, QUAE CUM SEPULCRO HUC A CASTRO FUERUNT TRANSLATA.

 

L’organo di Antonino La Valle

“Die VI aprilis XIII Inditionis 161ó Magister Antonius ( sic ) la Valli civis panhormi hic sclafani repertar m.n.c. coroni nobis spante se obligavit et obligat R.do Don Sebastiano La Chiana vicario et canonico sclafani m.n.c. presenti et stipulanti pro usu et commoditate et decoro venerabilis maioris ecclesie eiusdam terre ci lacere unum organum bene et diligenter tic magistrabiliter.. etc”.

Nella gloriosa storia della Chiesa Madre di Sclafani Bagni entra dunque uno degli organari siciliani più illustri: Antonino La Valle. Questi, figlio del celebre Raffaele La Valle, fu uno dei più rinomati organari di Sicilia del XVII ed autore di un buon numero di organi fra cui quello in cornu evangelii della Cattedrale di Cefalù (1614), della Chiesa di Caltavuturo (1619) e della Chiesa Madre di Collesano (1626).

Il La Valle doveva essere fortemente desiderato dal Rev. Don Sebastiano La Chiana per accettare quest’ultimo un clausola di contratto estremamente rischiosa: ” … Processit ex parto che detto rev. Vicario a suo risico e lariana et a sai spiri si debiti far portare detto organo dalla detta città di Palermo in questa terra et non altrimenti… “. Il trasporto dell’organo da Palermo a Sclafani, quindi, fu a rischio e, pericolo del committente e, a quei tempi, i viaggi erano tutt’altro che sicuri. In più “…esso rev.do Vicario ci debbia dare gratis al detto mastro Antonino cavalcatura dalla detta città di Palermo in questa terra e da questa terra in detta città et domentre stana in questa terra per spedire detto organo bene assettarlo ci debbia pure dare vitto cui posata gratis et non aliter … (3). Le richieste del La Valle sembrano da “prima donna” ma vennero comunque accettate. Ne venne fuori un organo straordinario: innanzitutto per la bellezza della cassa, per la purezza sonora e per l’equilibrio fonico tra strumento ed ambiente che lo ospita. Nell’atto si stabilisce che l’organo deve essere di dieci palmi (la canna più grande, cioè, deve corrispondere al moderno 8 piedi) con le canne di facciata di stagno e tutte le altre di piombo; la cassa deve essere conformata “cum archis, pilastri et pilagustis et coni tilaris et partir de lignamine” e con “la forma prout ad presens est organus venerabilis ecclesie santi Nicolai della causa de urbis panhormi”(5). Il costo dello strumento è fissato nella notevole cifra di centoquindici onze con pagamento in tre rate(6). Il 6 maggio 1620, il pittore Antonio Salamone da Nicosia si impegna a decorare tutto l’organo ed a dipingere quattro figure in olio negli spor-telli della cassa: nella parte interna L’Annunciazione, all’esterno gli Apostoli Pietro e Paolo, “sopra li tastami la Imagini del profeta Re David”.

Come diversi altri strumenti di Sicilia, l’organo di Antonino La Valle venne sottoposto a manutenzione straordinaria nel 1772 da Giacomo Andronico, uno dei massimi originari del suo tempo, particolarmente esperto degli strumenti del La Val¬le. I nomi di Giacomo Andronico e di Raffaele ed Antonino La Valle si incrociano spesso nella storia organaria siciliana: molti strumenti dei La Valle sono stati re¬staurati ed ampliati da Giacomo Andronico al punto che quest’ultimo può essere oggi considerato uno degli “interpreti” migliori dell’arte dei La Valle, esperienza poi con¬fluita negli organi costruiti di sana pianta dall’Andronico stesso. L’organo dell’An¬nunziata di Isnello è un altro esempio madonita della “staffetta” Antonino La Valle (1625)- Giacomo Andronico (1765).

L’intervento di Andronico, pur apportando delle ovvie modifiche all’impianto fonico dettate dal gusto del tempo, è rispettoso della concezione fonica dello strumento che ne risulta, quindi, ampliata; un intervento riconducibile al secolo scorso, invece, ha “stravolto” l’organo scollegando le file di Ripieno, sopprimendo la XXIX in favore di un registro violeggiante, mutilando le canne di Ottava per utilizzarle come Ottavino, normalizzando il corista a 440 Hz e modificando i comandi di registrazione. Il recente restauro della Fabbrica Artigiana di Organi PINCHI di Foligno ha riportato la situazione originaria mantenendo le modifiche di Giacomo Andronico perché ritenute giustamente di grande valore artistico e documentario. Prima dello smontaggio l’organo si presentava in condizioni pessime ed ovviamente non era suonabile. La facciata si presentava gravemente colpita dal cancro dello stagno, problema che con tutta probabilità si era manifestato già da decenni. Il materiale fonico mostrava una consistenza complessiva del 70% circa, compreso ovviamente il materiale non originale. Le parti lignee si presentavano malconce, soprattutto il cavallo mostrava una incurvatura notevole. La presenza del tarlo si manifestava principalmente in coda al somiere, nella parte cioè che ospita i raddoppi di Principale, completamente ridotta a spugna. Le restanti parti del somiere risultavano eccellenti per materiali e fattura. I mantici originali mancavano, essendo stati sostituiti con un mantice a lanterna che è stato lasciato sul posto, così come la tastiera e la pedaliera recenziori. La tastiera, la pedaliera e i mantici sono stati ricostruiti sui modelli degli organi del Duomo di Cefalù, di giusta proporzione.

Tutti gli studiosi degli organi storici italiani concordano nel ritenere l’arte organaria siciliana estremamente conservatrice rispetto alle altre regioni italiane. Ciò è di grande interesse per gli organisti e gli studiosi perché alcuni organi seicenteschi. fra cui proprio questo di Sclafani, hanno caratteristiche molto arcaiche e affascinanti ed è ancora più incredibile constatare come gli interventi settecenteschi non hanno modificato la qualità del suono originale. La sonorità dell’organo di Sclafani è un “tuffo” nel passato, quando le sonorità erano molto austere, a volte diafane, molto lontane dall’enfasi degli organi costruiti a partire dal XIX secolo. Grazie al tempera¬mento del “tono medio” con 114 di comma sintonico, si potrà gustare il repertorio rinascimentale e barocco nella sua pienezza; sia l’organista che gli ascoltatori potranno immergersi nel mistero che le suggestive navate della chiesa madre di Sclafani evocano.

Dott. M.° Diego Cannizzaro

1 Devo alla cortesia di Rosario Termotto la possibilità di riportare qui stralci dell’atto attualmente conservato presso l’Archivio di Stato di Termini Imerese , notaio Matteo De Natali volume 12646 anno 1614/15 . c.206 v e seguenti.

2 A.S.T.I, cit.

3 A.S.T.I, cit.

4 A.S.T.I, cit.

5 A.S.T.I, cit., trattasi della chiesta di San Nicolò alla Balsa in Palermo.

6 Cfr. ROSARIO TERMOTTO. Sclafani Bagni, 2003, pagg. 86 – 87.

7 Cfr. ROSARIO TERMOTTO. ibidem

 

Scheda tecnica dell’organo

Località: Sclafani Bagni.

Edificio: Chiesa di S. Maria Assunta

Autore: Antonino La Valle

Ubicazione: In cantoria sopra la porta d’ingresso.

Cassa e prospetto: Cassa lignea indipendente dalla parete, collegata soltanto da travetti murati nella parete. Il prospetto è a 5 campate maggiori e tre ordini (li organetti muti con canne di legno dipinte, corrispondenti alle, tre campate maggiori centrali.

Canne di Facciata: 33 canne in stagno al 99% disposte in 5 campale a cuspide (5+7+9+7+5). Le bocche sono allineate ed i labbri superiori sono a perdere, cioè senza tracciatura. La canna n.°3 è interna e trova alloggio dietro la seconda parasta da destra.

Tastiera: una tastiera di 45 note (Do 1 — Do 5) scavezza, ricostruita secondo i modelli La Valle rilevati dall’organo del 1614 (lei Duomo di Cefalù. Tasti diatonici in ebano e cromatico in bosso nostrano. Modiglioni ripresi come sopra.

Pedaliera: ricostruita alla spagnola/siciliana con pedali sporgenti in noce. come da modelli coevi dell’autore, di 8 note i Do 1 —Si 1) scavezza.

Ubicazione comandi: a destra della tastiera su due colonne di tiranti a pomelli. 1 pomelli in noce ed i tondini in legno di castagna sono stati ricostruiti secondo i modelli del- l’organo (lei Duomo di Cefalù. I precedenti erano di foggia e fattura difforme dagli originali e riconducibili ad epoca ottocentesca. Anche i cartellini sono stati ricostruiti, essendo i precedenti di fattura recenziore e non attinente alla recuperata disposizione fonica. Il pomello del Ripieno che raggruppa le file dalla XIX alla XXIX. si trova a destra della colonna principale.

Registri: colonna di sinistra

1. Principale I

2. Principale II (dal Do 2)

3. Voce Emana (crescente, dal Do 3)

4. Flauto in VIII (dal Do 2)

5. Ottava

6. Decimaquinta

7. Cornetto (XlI — XV — XVII dal Do 3)

colonna di destra

Ripieno (XIX — XXII — XXVI — XXIX)

Manticeria: due mantici a cuneo azionabili tramite stanghe, ricostruiti secondo modelli La Vallee ricollocati a destra della cassa. L’organo è stato anche dotato di elettroventilatore. In origine i mantici dovevano essere tre, come indicato dal contratto recentemente pubblicato dal Prof. Termotto. In futuro sarà sempre possibile ricostruire il terzo mantice. Pressione ripristinata tramite mattoni in 38,7 mm in colonna d’acqua tenendo conto delle geometrie delle canne intatte.

Tipo di meccanica: meccanica di tipo sospeso per la tastiera e tramite fettucce di cotone per la pedaliera. La tavola di riduzione presenta rulli in pino con palettine in ferro e blocchi per i perni di faggio. E’ presente la numerazione originale ad inchiostro sulla tavola e rulli. La trasmissione dei registri è originale, è stata reintegrata la parte relativa al Cornetto ed al Ripieno modificati in epoca recenziore. L’inserimento di registri avviene allo spingere dei pomelli ed all’uscire della stecca dal somiere.

Crivello: ricostruito a tavola con sostegni in legno di pioppo.

Numero e tipo dei somieri: somiere maestro in noce ricavato da tavola unica, così come la coperta. Segreta chiusa da tre ante tramite naselli in ferro. Sono presenti 50 ventilabri (45 + 5 di raddoppio al Principale D. Guide laterali in ottone originali e molle ricostruite in ottone. Apertura dei ventilabri verticale. I canali di raddoppio al Principale I, dal Do 1 al Sol 1, sono sempre funzionanti, mentre i fori del Principale I corrispondenti alle note che vanno dal La 1 al Si 1 sono allargati per consentire sempre l’utilizzo del¬le note di 8′. La stecca di “Voce Umana” ha 32 fori (25 Voce Umana e 7 ad asola per l’Ottava) e quella di Flauto 38 (37 +1 ad asola per l’Ottava). La stecca del Cornetto ha 75 fori con estensione di 25 note (Do 3 — Do 5). Tutte le altre stecche hanno 45 fori. Una porzione in coda al somiere e corrispondente ai raddoppi è stata reintegrata in quanto corrosa dai parassiti xilofagi.

N.° stecche: 11 Ordine: Principale, Principale II. Voce Umana, Flauto in VIII, Otta¬va, XV, XIX, XXII, XXVI, XXIX, Cornetto XII-XV-XVII

Iscrizioni: nel cavallo originale, sulla trave frontale di appoggio del somiere maestro, faccia interna, si trova cartiglio manoscritto: “Magister Antoninus La Valle Panormitanus, fecit hoc / organurn dei 18 iunii 1615 et hoc fecit pro / gloriam Dei”.

Sulla prima canna di legno è stata rinvenuta una scritta graffita orinai illeggibile da un’abrasione intenzionale, dalla quale tuttavia si evincono elementi frammentari “…pa¬norrnitanus … 1615”. Di seguito a questa scritta si trova la firma di Giacomo Andronico, sempre graffita. Sotto il fondo del somiere maestro si trova scritta incisa a fuoco: “1772 Giacomo Andronico”.

Stato del manufatto: l’organo è stato restaurato nel 2003, ultimato nel mese di luglio. dalla Fabbrica Artigiana di Organi PINCHI di Foligno.

Note: Accordatura: La 422,6 Hz a 26,7°

Temperamento: Tono medio 1/4 di comma sintonico

Pressione: 38,7 mm in colonna d’acqua.

Rilevatore: Andrea Pinchi.

La foto è di ROSOLINO PRINZIVALLI

Pagina aggiornata il 29/01/2024